La più importante associazione Usa di pediatri consiglia di raddoppiare la dose di vitamina D, soprattutto ai bambini allattati al seno e agli adolescenti che non bevono o bevono poco latte. Il motivo? Protegge da malattie importanti, come rachitismo, diabete e tumori.
Secondo le nuove indicazioni della principale associazione pediatrica Usa, pubblicate sulla rivista Pediatrics, non sarebbero sufficienti le 200 unità al giorno previste finora, ma ne servirebbero almeno 400 unità. L’integrazione viene consigliata ai bambini allattati con latte materno, già nei primi giorni dopo la nascita fino al primo anno di vita e agli adolescenti che non bevono o bevono poco latte.
Le raccomandazioni dei pediatri americani valgono anche per i bambini italiani?
“In linea di massima sì – dice Gianni Bona, vicepresidente della Società italiana di pediatrica e direttore della clinica pediatrica dell’Università di Novara in un’intervista al Corriere -. Da studi che abbiamo condotto è emerso che ancora oggi ci sono bambini che dopo la nascita presentano valori di vitamina D inadeguati. Non solo: abbiamo individuato alcuni casi di rachitismo, malattia causata dalla carenza di vitamina D, molto diffusa nell’Ottocento, ma presente ancora oggi”.
Maggiori quantità di vitamina D potrebbero essere utili – dice – anche per gli adolescenti, “per favorire il raggiungimento del picco di massa ossea”. Oltre che nel latte e in altri cibi come i cereali, la vitamina D si trova nei pesci grassi (salmone, tonno, sardine), nelle uova e nei formaggi.
Ma la vera miniera è il sole: l’organismo è infatti in grado di produrre vitamina D in seguito all’esposizione alla luce solare. Per questo motivo, sostiene Marcello Giovannini, presidente della Società italiana per l’educazione alla salute, l’integrazione andrebbe valutata caso per caso, tenendo conto in che stagione è nato il bambino e dove vive: un neonato a Palermo produrrà più vitamina D di un bebè di Milano nato in autunno.
In ogni caso, conclude Giovannini, oggi si sa che “l’integrazione, anche fino a 800 unità, non comporta rischi di ipervitaminosi”.
Estratto de: 'Il Corriere della Sera'
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