IL BAMBINO
 
 
Diventiamo genitori 'competenti'
Qualche spunto di riflessione per mamme e papā tratto dall'incontro con il dott. Antonio Grioni, organizzato il 7 novembre dall'Assessorato ai servizi Sociali del Comune di Crema e dal Nido Comunale

IL Bambino ‘bravo o ‘grande’
Essere genitori ‘competenti’ non significa essere bravi o meno, TUTTI sono bravi genitori, la competenza ci permette di avere qualche elemento in più. Per comprendere i bisogni dei nostri figli e il loro linguaggio.
‘Bravo’ è un termine che non bisognerebbe mai utilizzare neanche per un bimbo. Lo manda in confusione. Cosa significa davvero? Cosa deve fare nel dettaglio per essere ‘bravo’? Così come ‘cattivo’. Dovremmo sostituire queste parole con ‘hai o non hai fatto quello che ti ho detto’, ‘non hai capito o forse non mi hai ascoltato’ e spiegare bene cosa si desidera che lui faccia, senza dare nulla per scontato.
Bisogna partire dal presupposto che i bambini e i genitori ce la mettono tutta, perciò con la buona volontà si riescono sempre a cercare delle strade per venirsi incontro.
Lo stesso vale per la frase ‘adesso che sei grande’. Non ha senso, non la usate MAI! E’ troppo spesso associata a concetti negativi.
‘Sei grande perciò non puoi più giocare con questo o con quello, o venire in braccio….’. ‘Grande’ è un giudizio e per il bambino acquisisce un’accezione negativa e lui pensa subito ‘non voglio essere grande’!
Quando nasce un fratellino è il momento più delicato per questo concetto.
Se il bimbo che ha più anni vuole provare ancora qualcosa di quando era neonato, bevendo per esempio il latte dal biberon o cose simili, non rimproveratelo e non proibiteglielo dicendo ‘no perché sei Grande’.
Anzi, trasformate la cosa in un gioco e lasciateglielo fare. Lui penserà: ‘che bello, posso giocare a tornare piccolo e a farmi coccolare come il mio fratellino’! E trasformerà l’arrivo ‘dell’intruso’ in una nuova opportunità per divertirsi e ricevere affetto dai genitori. Se capisce che ‘il bello’ c’è sia nella sua età sia nell’età di un neonato non desidererà più così tanto tornare indietro!
E se lo vediamo qualche volta geloso diciamogli: ‘io sono d’accordo con te, sarei geloso anch’io al tuo posto. Tua sorella è una rompiscatole. Lavoriamo insieme per trovare il modo giusto per accoglierla’.
Significa: mi metto al tuo livello e provo le stesse cose, ma ho gli strumenti per aiutarti a stare meglio. E dopo un po’ di tempo, non subito, ditegli (fuori contesto): ‘ma io non ti voglio meno bene ora che c’è lei’.
Consiglio anche di disegnare un cuore: indicate la metà del papà e la metà del primo bimbo. Poi chiedete al maggiore cosa è successo al cuore da quando è nato il fratellino. Il bimbo tende a dividere la sua parte di cuore, e invece voi gli mostrate che si può aggiungere un’altra metà ! Perché il cuore della mamma si dilata. E il nuovo pezzo sembra un petalo. Un petalo per ogni fratellino fino a formare un grande fiore. Nessuno rinuncia a nulla!

I bimbi ci ‘leggono nel pensiero’
Per i propri figli si provano sentimenti immensi di gioia e di orgoglio, ma a volte, è nella natura delle cose, ci sono dei giorni che proprio non si sopportano.
Per questo sorgono i sensi di colpa, che vanno gestiti e superati ma rientrano nella normalità.
Anche durante la gestazione la mamma immagina il proprio bimbo in un modo e quando lo vede lo trova diverso, a volte le piace di più a volte meno, deve dunque adattare la fantasia alla realtà.
Ma non sforzatevi di fingere. Siate sinceri e datevi tempo per adeguarvi alla novità del suo arrivo. Sappiate comunque che il bimbo percepisce tutti i vostri stati d’animo. Capisce al volo quando un adulto è sincero o meno, quando è teso o sereno. I bimbi sono sensibilissimi. Fin da piccoli.
Anche durante l’allattamento per esempio, percepiscono se la mamma è tutta dedicata a loro o se sta telefonando o pensando ad altro e non è coinvolta.
Sono cose che possono accadere, però è giusto sapere che il nostro bimbo ‘sente tutto’. L’importante è averne coscienza e alternare momenti di distrazione a situazioni più coinvolte ed affettuose.
Loro comprendono noi e noi dobbiamo comprendere loro.
Ascoltate le inflessioni del pianto, osservate i comportamenti, fate attenzione ai cambiamenti (esempio: mordere la mamma quando torna la sera è una forma di comunicazione, si può cercare di evitare la cosa spiegando bene che mordendo si fa male alla mamma....o picchiare gli altri bimbi all’asilo nido è un segno di disagio; spesso indica che il bimbo fa fatica ad accettare che l’educatrice non guardi solo lui e cerca di ‘eliminare’ gli altri o di attrarre la sua attenzione, bisogna abituarlo a condividere, anche a casa).
Osservare i suoi disagi e provare a comprenderli e a gestirli non ci deve mai portare a pensare che il nostro bimbo sia ‘cattivo’, ma solo che lo si deve aiutare ad adattarsi alla realtà delle cose e ai cambiamenti che la vita gli riserva.
Se non smette di avere comportamenti che voi disapprovate è perché ‘sente’ che non avete ancora capito ciò che vuole comunicarvi.

Il primo dovere di un genitore
Non dimentichiamo che a volte l’unico disagio che ci trasmettono i bimbi è la loro preoccupazione per il nostro stato d’animo: se siamo nervosi o addolorati per qualcosa, il bimbo ‘lo sente’ e si preoccupa per noi. A volte teme addirittura di essere lui la causa del nostro malessere, dunque si agita molto.
E questo spunto mi permette di esprimere un concetto per me molto importante: il primo dovere di ogni genitore, per tutta la vita, è di cogliere, ascoltare, percepire le preoccupazioni e le ansie dei nostri figli, ‘ripulirle’ caricandole di rassicurazione e restituirle a loro.
Per esempio: l’azione sedativa nei confronti di un bimbo piccolo non avviene se gli chiediamo ‘perché sei preoccupato?’ ma avviene se gli diciamo con il sorriso sulle labbra e guardandolo negli occhi ‘mi sembri preoccupato ma non devi esserlo, tutto si sistema, ci pensa la mamma’.
Ecco, così gli si trasmette un messaggio chiaro e molto positivo.
Un messaggio ‘sedativo’ di cui lui ha gran bisogno.
Questo è il primo dovere di un genitore nei confronti dei propri figli. Aiutarli e comprendere la realtà delle cose, ma liberarli il più spesso possibile dell’ansia che le difficoltà creano in loro. Il figlio deve sentire dentro di sé la sicurezza che può dire tutto, esprimere qualunque sentimento o pensiero ai propri genitori per averne in cambio una rassicurazione. Perché l’adulto ‘non muore, non si rompe, non si arrabbia inutilmente, non soffre come lui’.
Insomma, la mamma è il papà sono sempre pronti ad accoglierlo e a ‘depurarlo’ delle sue ansie.

Come parlare al nostro bambino piccolo
Prima di tutto, è fondamentale, guardarlo negli occhi portandosi al suo livello .. cioè piegandosi sulle gambe, per farlo sentire alto come noi. Costringerlo a percepire la nostra incombenza e la nostra forza perché siamo molto più alti lo mette in soggezione e non gli permette di ascoltare con serenità.
‘Saper tornare indietro’ a quando eravamo piccoli, regredire per avvicinarci a lui, è molto importante. E ciò significa parlargli alla sua altezza, sedersi per terra per giocare, guardare solo lui senza fare assolutamente nient’altro.
Ma significa anche ripensare a come eravamo noi alla loro età, e cogliere sinceramente ciò che ci piaceva e ciò che non ci piaceva nel comportamento dei nostri genitori, per provare a migliorare ancora di più nei confronti dei nostri figli.

Il distacco
Parliamo del distacco. Tutta la vita è costellata da ‘separazioni’.
E’ importante comunque sapere che per un bimbo è più facile separarsi dalla mamma a sei mesi piuttosto che a un anno o anche oltre. Se un genitore sceglie di stare accanto al proprio figlio per almeno un anno dedicandosi a lui (o fino alla scuola materna) deve sapere che regala al proprio bimbo una grande sicurezza interiore e gli infonde la certezza della sua presenza.
Per questo non deve poi meravigliarsi se a un certo punto decide di inserirlo al nido dopo uno o due anni e il bimbo fa molta fatica ad adattarsi alla nuova situazione. Il senso del distacco da chi considera il centro della sua vita è molto forte.
E’ bene sapere che invece a sei mesi è diverso. A quell’età il bimbo non si è ancora abituato a considerare un punto di appoggio la mamma, e se si separa da lei si abitua più facilmente al distacco perchè non ha ancora imparato cos'è davvero 'La Mamma'.
Poi, precisiamo, c’è distacco e distacco. Avere la mamma accanto è sempre un privilegio, se possibile. Ma nel modo giusto, nel rispetto dei tempi di sviluppo del proprio bimbo.
A mio parere genitori e bambini devono essere lasciati tranquilli, non devono ricevere pressioni riguardo ai progressi e allo sviluppo del piccolo.
Il tutto nella giusta misura però. Per esempio le mamme che allattano oltre l’anno di età psicologicamente non fanno bene. Perché, diciamocelo, a diciotto mesi non è più il bimbo che vuole essere allattato al seno ma è la mamma che lo vuole tenere attaccato a sé in questo modo. Non è più un’esigenza di nutrimento del piccolo ma un bisogno di compensazione (magari da lontananza durante il giorno) del genitore.
Ricordiamo: i bimbi crescono se noi ‘li autorizziamo a crescere’.
Se per esempio nostro figlio cerca di imparare a camminare e cade, non dobbiamo impedirgli di provare per paura che cada di nuovo. Dobbiamo seguirlo ma lasciarlo provare finché ci riesce. Così lui capisce che noi pensiamo che è in grado di farlo e perciò ce la mette tutta. La stessa cosa per il pannolino.
Il bimbo ci manda dei segni per avvertirci che è pronto a separarsi dal pannolino. Noi dobbiamo coglierli e fidarci di lui incoraggiandolo e spiegandogli bene come funziona e perché. ‘Vedrai che insieme ce la facciamo. Tu non ti preoccupare, farai un po’ di fatica ma con il mio aiuto imparerai’.

continua ...

13/11/2007




 
 
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