Non c’è una parte della biosfera che non sia minacciata ed è nostro dovere intervenire per lasciare un’eredità di salute e prosperità ambientale, economica e sociale. Altrimenti non ci saranno laghi per nuotare, neve per sciare, cascate per giocare, e acqua fresca da bere». Un messaggio di Al Gore? No, è il blog di una mamma, anzi un’ecomamma single: Kimberly Danek Pinkson, 38 anni, ex danzatrice e webmaster del sito http://www.ecomomalliance.org/
«Una notte d’inverno allattavo mio figlio Corbin. Fuori c’era una tempesta di neve, avevo freddo e mi sentivo sola. Mentre piangevo di solitudine e stanchezza una serie di immagini mi passava per la testa: una mamma in Africa nella sua capanna, una in un appartamento di Parigi e una in una giungla brasiliana. Con la maternità avevo scoperto una nuova e potente sorellanza». Oggi il suo sito raccoglie un’alleanza di 9000 membri ma il suo tam tam rimbalza dagli Usa all’Europa. Ecco http://www.greenandcleanmom.org/ e http://www.eco-chick.com/, mentre in Francia c’è http://www.maman-bio.com/ e http://www.econoecolo.org/, nel Regno Unito il Women Environmental Network (http://www.wen.org.uk/) e in Italia blog come http://www.babygreen.it/ o forum, come quelli ospitati da http://www.promiseland.it/ - Il punto di riferimento del vivere etico-vegan.
Ovunque le donne, le gorettes, come le chiamano in America, soprattutto quelle con bambini piccoli, si interrogano con passione sul mondo che verrà. «Eco mamma è un termine che mi piace», scrive Eco Mamma su http://www.noimamme.it/, «un termine usato da una madre che guarda al futuro e spera di lasciare un mondo pulito o, almeno, un mondo meno zozzo, ai propri figli. Lo so, detta così sembra una pubblicità e neanche troppo bella, ma non lo è affatto, è solo coscienza umana o meglio coscienza di mamma». Cioè personale, emotiva. «Abbiamo tutti delle responsabilità nei confronti dell’ambiente», interviene la trentenne del Connecticut Sommer Poquette (http://www.greenandcleanmom.org/), «ma le madri sono più sensibili: pensiamo ai figli e a tutta la roba chimica che ingurgitano e che li fa ammalare, non è triste? Ma questa tristezza ci fa diventare più motivate, più determinate».
Con l’arma dei consigli
Le ecoguerriere combattono a colpi di consigli.
In Italia, su www.promiseland.it, rifiutano i pannolini di plastica e cuciono (ma dove lo trovano il tempo?) mutandine di pile (vedi mammafelice), scambiano ricette vegan (Francesca G.), si interrogano sull’antizanzare per bambini (piperita 76). Sono vegetariane e contro i fast food (extramamma. blogspot.com), contro le vaccinazioni, la tv scriteriata e gli omogeneizzati (sole75). Per certi versi le loro abitudini frugali sono più simili a quelle dei nonni che hanno fatto la guerra che a quelle consumistiche dei genitori. Negli Usa sono sicuramente più visibili, più patinate (vedi Kimberly Danek Pinkson) e più movimentiste: Eco Mom Alliance, per esempio, è diventato un punto di riferimento per l’ambientalismo, un’organizzazione ombrello che aiuta a organizzare in tutti gli Stati Uniti eco parties (cibo e bevande rigorosamente bio), conferenze sul cambiamento climatico, eventi per raccogliere fondi. Alcune, come Sommer Poquette, di greanandcleanmom.org diventano ecoimprenditrici: sul suo sito si possono comprare tutti i prodotti Shaklee, marca impegnata sul fronte ambientalista.
Le pulci del Connecticut
«È importante procedere a piccoli passi per non spaventarsi», dice Kimberly Jordan Allen, di eco-chick.com. «Per esempio, si può cominciare a guidare di meno o a cambiare le lempadine di casa o a comprare latte biologico. Nella mia esperienza una cosa si collega all’altra: chi compra latte biologico non vorrà le fragole col pesticida e nemmeno detersivi tossici. L’importante è fare il primo passo». È d’accordo anche Patrizia Violi, giornalista di Insieme e ideatrice del sito eco www.milanoperbambini.it. «La gradualità è essenziale, ho visto troppe amiche prendere la tangente verde di petto e mollarla perché si stanca. È un po’ come voler perdere 7 chili in 7 giorni». La parola d’ordine? Ricordate le 3R: Ricicla, Riusa, Riduci. «Se puoi riusare o riciclare, fallo!», dice Poquette. «Se non hai bisogno di comprare lascia perdere!». Ogni mamma aggiunge così la sua sfumatura green ai consumi.
Ma il fenomeno non si ferma qui. C’è anche un altro aspetto: sensibilizzare i bambini.
«Stiamo lasciando loro un fardello molto pesante per tutti i danni che abbiamo fatto», riflette Jordan Allen. «Avranno molte sfide da affrontare ma se indichiamo loro la strada probabilmente non faranno i nostri stessi errori». Via tv, Playstation, giocattoli di plastica, pesticidi, sì a cibi e abiti bio. «I miei ragazzi vivono il più possibile all’aria aperta. In casa compriamo solo cibo locale e buttiamo il meno possibile. Facciamo insieme la raccolta differenziata e anche il compost con i rifiuti organici. E vado con i bambini alla discarica locale per mostrare dove va la spazzatura e cosa si può recuperare: dalle posate, ai libri, ai mobili». Dimenticate la Campania, la discarica nel Connecticut di Jordan sembra più simile al mercatino delle pulci. Mai nessun cedimento? «Quando ho fatto il trasloco ho buttato un bel po’ di roba nel cassonetto. Sì, pure libri dei bambini e vestiti, non avevo tempo di riciclare», confessa Violi. «È stato il momento peggiore del mio disimpegno: ho fatto schifo». Non è la sola, negli Usa: Danek Pinkson ha, orrore, un Suv parcheggiato nel viale di casa: «Ma cerco di usare la vecchia Audi di mia madre. Quando ho messo su il sito volevo sbarazzarmene e comprare un ibrido, ma non l’ho ancora fatto».
Che fine ha fatto l’ecopapà?
Dispiace non trovare nessun ecopapà blogger: dove siete?
A leggere e a parlare con queste donne sembra che dietro il fenomeno ci sia anche un tentativo di combattere la depressione post parto e uscire dall’isolamento della maternità. Costruire una rete di amicizie che ruoti intorno a un interesse comune può essere “empowering” per chi si trova di botto a casa con un esserino urlante.
Eppure, è solo una moda o questi piccoli passi salveranno davvero la Terra? Bill McKibben, autore di The End of Nature, è attento a discernere. «Credo che il trend del consumo consapevole sia utile perché mostra che la gente ha interiorizzato la minaccia ambientale. Ma se ci limitiamo a comprare roba più verde è, in ultima analisi, senza senso. Non possiamo fermare il riscaldamento globale spegnendo una lampadina alla volta». Quello verde è anche un business e le ecomamme sono le prime a rendersene conto. «Il marketing si è impossessato del nostro messaggio», dice Jordan Allen. «Penso alla catena Gap, che pubblicizza gli abiti che vende sottolineando che vengono da fonti ecosostenibili ecc. In ultima analisi, bisogna consumare di meno».
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